L’arte della concentrazione.

20 Novembre 2015

meditaz

La concentrazione è un’abilità spesso data per scontata. Di solito, viene riferita al lavoro di precisione, alla vita scolastica o a qualche compito che richieda notevole sforzo mentale. Di recente, però, la concentrazione ha ricevuto molta attenzione da parte degli psicologi, in quanto correlata non soltanto alla prestazione, ma anche al benessere personale.
Quando si pensa a una persona concentrata, la si immagina in tensione, con le sopracciglia aggrottate, lo sguardo fisso su un qualche compito. In realtà, concentrarsi significa più semplicemente lasciar fuori quello che non serve.
Proviamo a pensare a quante cose facciamo durante una giornata senza essere presenti: guidiamo, mangiamo, camminiamo, prendiamo un caffè, facciamo una doccia, ci rilassiamo e a volte pure lavoriamo con la mente “altrove” (senza contare il tempo che passiamo “connessi”!). Questa scarsa capacità di rimanere concentrati influisce sulle nostre prestazioni e non ci permette di godere del presente.
Considerando la nostra disfunzionale abitudine di pensare sempre al passato o al futuro, concentrarsi significa semplicemente “stare” in ciò che si sta facendo. Dunque, più che fare uno sforzo, concentrarsi significa lasciare andare ciò che al momento non è utile.
Rimanere nel presente, stare nella situazione attuale, nel qui e ora, presenta una gran numero di vantaggi: innanzitutto, evita al cervello lo sforzo continuo, e inutile, di soffermarsi su qualcosa che non c’è più (momenti del passato) o su qualcosa che deve ancora avvenire (momenti del futuro). Il vantaggio di non farsi ossessionare dagli errori commessi, e al contempo non farsi prendere dall’ansia di ciò che dovrà accadere, è evidente: minor tensione, un umore migliore, maggior sensazione di calma, maggior concentrazione, maggior capacità di godere delle piccole cose.
Nello sport, questa è un’abilità tipica dei campioni: saper azzerare l’errore appena commesso, non farsi prendere dall’ansia del risultato, rimanere sull’azione del presente. In sostanza: concentrazione.

Gli psicologi si sono chiesti se, e come, questo tipo di concentrazione possa essere esercitata; per farlo, hanno fatto riferimento alle persone più concentrate del mondo: i monaci buddisti. In breve, studiando i meccanismi cerebrali di questi monaci, gli scienziati hanno scoperto che l’esercizio della meditazione comporta una maggior concentrazione, una maggior “lucidità” e prontezza mentale, minor stati ansiosi, una sensazione di calma, maggior accettazione di quanto accade e una notevole capacità di rimanere focalizzati nel momento attuale. La meditazione ha quindi un impatto notevole sia sulle prestazioni del nostro cervello che sul benessere percepito. Senza poi considerare i vari benefici di tipo fisico.
Questi risultati (assieme a molte altre ricerche) hanno promosso una riscoperta scientifica delle varie tecniche di meditazione e di rilassamento, considerate non più come bizzarre usanze orientali, o roba da santoni, ma come pratiche realmente utili per molteplici aspetti della vita.
La mindfulness, una meditazione basata sulla consapevolezza dell’esperienza presente e accettazione della stessa, sta diventando sempre più popolare e studiata, al punto che diverse scuole negli Stati Uniti la stanno introducendo nei propri programmi didattici.
Nel mondo dello sport, sono sempre di più gli sportivi che inseriscono tecniche di meditazione nel loro programma di allenamento (un esempio su tutti è Novak Djokovic, campione di tennis e attuale numero uno del ranking ATP). Il fatto di rimanere concentrati su quanto si sta facendo, può portare a quella che viene definita “flow experience”, quel momento di trance agonistica in cui tutto sembra andare alla perfezione, in cui l’atleta spesso si definisce “in giornata”.
I racconti di simili prestazioni sono numerosi, come questa intervista di Ayrton Senna: «Ero già in pole e continuavo ad andare sempre più forte… Improvvisamente ero quasi due secondi più veloce di chiunque altro, compreso il mio compagno di squadra con la stessa macchina. E improvvisamente ho realizzato che non stavo più guidando la macchina coscientemente. La stavo guidando attraverso una specie di istinto, solo che ero in una dimensione differente. Era come se fossi in un tunnel»

La totale presenza in ciò che sta accadendo, infatti, favorisce un rapido accesso al repertorio di movimenti e tecniche provate in allenamento, senza la mediazione della razionalità.
Una mente concentrata soltanto su quanto avviene in campo permette di non sprecare energie cognitive ed emotive nel pensare all’arbitro, al pubblico, a quanto successo prima della partita, a quale sarà il risultato finale, alla posizione in classifica, al litigio avuto con il compagno, al timore di sbagliare ecc… Inoltre, bypassando l’eccessivo controllo razionale, è come se il corpo si muovesse in automatico svolgendo spontaneamente quanto preparato nelle sessioni di allenamento. Infine, un corpo più rilassato, meno contratto, meno teso, favorisce una maggior fluidità di movimento e minor probabilità di infortunio.
Esistono diverse tecniche per favorire la concentrazione e la flow experience: la meditazione, le tecniche di rilassamento, la mindfulness, la visualizzazione, l’allenamento ideomotorio. Tecniche davvero utili, che vanno allenate e richiedono molto tempo e dedizione, come qualsiasi tipo di allenamento.
Un piccolo passo iniziale può essere quello di creare un rituale di inizio gara (pensiamo alla haka degli All Blacks) che dia una sorta di segnale di via alla concentrazione. Senza scomodare degli dei del rugby, è sufficiente un urlo di gruppo, una pacca sul petto, la ripetizione di una frase, un movimento scelto. Poi, imparare a respirare correttamente: bastano alcuni respiri profondi per contribuire a creare uno stato di calma interiore e favorire la concentrazione.