“In principio era il Gioco…”

12 Marzo 2016

Si è concluso con successo il convegno “In principio era il Gioco…”, iniziativa promossa da Rugby Riviera 1975 e svoltasi sabato 5 marzo nella suggestiva cornice di Villa Valier.
L’incontro ha rappresentato uno scambio di opinioni e di esperienze relativamente al momento attuale dello sport giovanile, in cui si sono confrontate personalità che da sempre appartengono al mondo dello sport: Manuela Levorato, ex velocista ed ora vicepresidente dell’Atletica Riviera del Brenta; Ezio Glerean, ex calciatore e successivamente allenatore di diverse squadre di serie B; Giorgio Sbrocco, ex rugbista, scrittore e giornalista; Mauro Mion, maestro di Karate 7° dan e arbitro internazionale.
L’incontro, nel quale ho interpretato l’inedito ruolo di moderatore, ha visto i relatori confrontarsi su alcune parole chiave da me selezionate, come “gioco”, “motivazione”, “famiglia”, “educazione”… Nonostante le diverse discipline rappresentate dai nostri relatori, sono emersi alcuni concetti che hanno accumunato gli interventi. Tra questi, senza dubbio la necessità di ritornare al concetto di divertimento come base fondante dell’attività sportiva, e non come una conseguenza. Non possiamo infatti pretendere che un ragazzo si appassioni allo sport perché fa bene, perché educa o lo aiuterà a crescere. Anzi, nello sport dovrebbe vigere una regola contraria al buon senso: prima il divertimento, poi tutto il resto. Infatti, ciò che può tenere per un po’ i ragazzi lontani dai videogiochi o dal telefono è proprio il divertimento. Ciò che può farli uscire di casa, abituati a vivere davanti al computer o alla televisione, è il divertimento. Ciò che può farli sentire più sereni, è il divertimento. Similmente, soltanto il divertimento può fare in modo di ridurre il fenomeno dell’abbandono sportivo.
Si continua a ripetere “una volta era diverso” con enorme nostalgia. Sono cambiate le famiglie, è cambiata la scuola, i ritmi e gli impegni sono più serrati, l’offerta a livello di divertimento e svago è aumentata, è cambiato il modo di comunicare. Attualmente, la complessità raggiunta dalla nostra società comporta una sfida notevole per chi si occupa di sport. Per rispondere a tutto ciò, sono necessari educatori sensibili, tecnici preparati, genitori che favoriscano la partecipazione, società sportive con una visione moderna (…e magari con al servizio uno psicologo dello sport!). Ma tutto questo è totalmente inutile se poi i ragazzi non si divertono. Non possiamo permetterci di offuscare la gioia del gioco con le ambizioni personali, le proiezioni genitore-figlio, il tifo scorretto, le aspettative, la brama di risultati.
La nostra continua esposizione allo sport professionistico e mediatico ha comportato il crearsi di una cultura sportiva votata al raggiungimento del risultato, al sacrificio, al successo personale ad ogni costo. Il risultato di questo atteggiamento è sotto gli occhi di tutti: non soltanto non è funzionale al benessere degli atleti, ma comporta anche il non raggiungimento dei risultati tanto ambiti. Il divertimento non è un ostacolo al talento, anzi, lo favorisce. Se poi il talento è davvero dirompente, allora in seguito si faranno delle scelte, si valuteranno delle possibilità.
Per far sì che si diffonda una cultura sportiva funzionale, è necessaria la condivisione, la collaborazione, l’unione di intenti. Ma questo, nella vita come nello sport, parte innanzitutto dalla responsabilità individuale.
Non possiamo assolutamente limitarci al solito ritornello “i ragazzi di oggi sono diversi da quelli di una volta”. Certo, sono diversi, come ogni generazione è diversa da quella precedente; ma non nascono difettati, non hanno alcuna patologia inspiegabile. E’ l’ambiente, l’educazione e sono gli strumenti che diamo loro che ce li fanno percepire così diversi. Siamo certi che, se avessimo avuto le possibilità dei ragazzi d’oggi, saremmo stati più maturi? Se avessimo avuto a disposizione i loro videogiochi (fantastici, bisogna ammetterlo), i loro smartphone (che tra l’altro catturano parecchio anche noi adulti), i tablet, la possibilità di comunicare in ogni istante con i nostri compagni di classe, ascoltare ovunque qualsiasi brano musicale o vedere qualunque film… Avremmo lasciato da parte tutto questo per uscire a giocare? Non credo, e non possiamo pretendere che siano loro a compiere questo passo.
Sono gli strumenti che NOI abbiamo dato ai bambini, il nostro esempio, le regole che (non) abbiano dato e la mancanza di collaborazione tra gli adulti di riferimento… a renderli così diversi.
Viviamo nell’epoca della critica, dello scarico di responsabilità, della difesa assoluta della propria posizione. Un’epoca estremamente narcisistica, in cui il primo intento è trovare falle nell’operato altrui. Un’epoca in cui chiunque si occupi di processi educativi viene bersagliato; genitori, insegnanti, educatori, allenatori, pedagogisti, psicologi. Prima si delega, poi si colpisce. E’ un gioco per adulti, ma ad andarci di mezzo sono principalmente i bambini.
La famiglia dovrebbe favorire l’attività sportiva, collaborare con le società, promuovere la passione dei figli… ma anche saper farsi da parte, non soverchiare il divertimento dei bambini con le proprie ambizioni. Promuovere l’autonomia. Stabilire delle regole assieme alle altre figure di riferimento. Dare l’esempio. Insegnare che l’errore fa parte dell’apprendimento, non è un fallimento. E’ difficile, sembra quasi impossibile; lo è anche per gli allenatori e per gli insegnanti.
Tutto ciò porta inevitabilmente al concetto di scelta. Principalmente, la scelta di stare dietro alle quinte e di lasciare il palcoscenico ai giovani atleti, veri protagonisti dei giochi, in un ambiente sereno, divertente, costruttivo. Scegliere di assecondare la loro passione, consapevoli del fatto che un alto indice di sportivi rende una società più sana.
Scegliere, inoltre, di imparare qualcosa dai bambini, che giocano solo per giocare, senza la nostra inevitabile tendenza a cercare altre finalità. A questo proposito, vorrei concludere con le parole di un filosofo amante dello sport, Mark Rowlands:

“La giovinezza esiste ovunque l’azione diventi gioco. La giovinezza esiste ovunque si faccia qualcosa solo per il gusto di farla, e non in vista di altro. La giovinezza esiste ogniqualvolta vi sia dedizione all’attività in sé e non allo scopo. La dedizione porta gioia, perché la gioia non è nient’altro che il riconoscimento del valore intrinseco della vita.”

 

A nome del Rugby Riviera 1975, ringrazio chi ha contribuito alla riuscita del convegno:
Ovviamente, i relatori: Manuela Levorato, Ezio Glerean, Giorgio Sbrocco e Mauro Mion.
Il Presidente del CONI Veneto, Gianfranco Bardelle, per il suo intervento.
Marzio Innocenti, Presidente del Comitato Regionale Veneto, per aver accettato l’invito.
Maurizio Corò e lo staff di Corò Arredamenti per la disponibilità dimostrata.
Lo staff della Pizzeria Giardinetto, per aver reso più gustoso il pomeriggio con le loro buonissime pizze.
Diego Sambo, per l’aiuto nella realizzazione della locandina.

Inoltre, ringrazio personalmente tutto il Rugby Riviera 1975, dirigenza, allenatori, volontari, per il sostegno e l’aiuto nella realizzazione del convegno, confidando nella prossima edizione!