22 Dicembre 2015
Nell’immaginario collettivo, la persona che parla da sola è da sempre considerata un po’ svitata. In realtà, tutti parliamo costantemente con noi stessi.
Il nostro pensiero è prevalentemente fatto di parole, qualche volta di immagini. I nostri ragionamenti sono spesso discorsi interiori, in cui “narriamo” qualcosa e traiamo le nostre conclusioni; programmiamo il futuro, rimuginiamo sul passato o restiamo concentrati sul presente. Ci raccontiamo una quantità enorme di storie, utilizzando quotidianamente circa 50.000 parole!
Provate per un attimo a esprimere un pensiero o un concetto senza l’utilizzo di parole: è praticamente impossibile. Il linguaggio permette una straordinaria traduzione dei nostri pensieri: li organizza, li chiarisce, li elabora, permette di condividerli. E’ uno degli elementi che c’ha permesso di evolverci come specie; una volta appreso, sembra pressoché impossibile liberarcene.
Non soltanto i matti pensano a voce alta; c’è chi lo fa per mantenere la concentrazione, per seguire rigorosamente una procedura, per darsi la carica o rimproverarsi… Tutte situazioni in cui il “self-talk”, il dialogo interiore, è effettivamente utile.
Il modo in cui parliamo a noi stessi influenza il nostro stato emotivo. Le parole che utilizziamo, e il modo in cui le pronunciamo mentalmente, hanno un impatto su ciò che ci apprestiamo a fare. Indicano una direzione, predispongono all’azione. Per questo, in psicologia dello sport e non solo, il self-talk viene considerata un’abilità mentale di fondamentale importanza.
Il dialogo interiore però può influenzare anche negativamente le nostre prestazioni. I pensieri negativi sono disfunzionali, pervasivi: “l’avversario è troppo forte”, “stiamo perdendo ancora”, “i miei compagni sono degli incapaci”, “ho commesso un altro errore”, “penseranno che sto giocando male” ecc… Formulare simili frasi interiori distoglie dal compito, influenza negativamente l’umore, la concentrazione, incide sull’autostima. Inoltre, molto probabilmente, un dialogo pieno di contenuti negativi influenzerà il nostro atteggiamento, la nostra postura, il nostro modo di relazionarci, rischiando così di “contagiare” anche i compagni di squadra.
E’ piuttosto complesso uscire da un tunnel di pensieri negativi durante una competizione; accade spesso che un errore comporti una serie di pensieri tradotti in sentenze negative, le quali contribuiscono a peggiorare ulteriormente la prestazione creando un circolo vizioso difficile da interrompere.
Al contrario, formulare frasi positive comporta una diminuzione dell’ansia, riattiva la concentrazione e ristabilisce immediatamente un atteggiamento positivo, anche corporeo.
Un buon dialogo interiore è fondamentale per riprendersi da un fallimento. Sia chiaro: non possiamo raccontarci delle menzogne o pensare di utilizzare il self-talk come la medicina di tutti i nostri problemi! Dopo un clamoroso errore, infatti, non sarà affatto utile dirsi “sei stato davvero bravo”; in tal caso, converrà ristrutturare l’accaduto in maniera positiva: “ok, da ora potrò solo fare di meglio”, “posso dimostrare che valgo più di così”, “non voglio assolutamente mollare”. E’ quasi sempre possibile ristrutturare il pensiero in maniera positiva a seguito di un momento di difficoltà; se non altro, considerandolo come occasione di apprendimento (atteggiamento raramente praticato e insegnato, purtroppo).
Il primo passo consiste nel cercare di “ascoltare” e dare attenzione ai propri pensieri: solitamente, cosa “mi racconto” dopo un fallimento? Al contrario, cosa mi dico dopo una prestazione vincente? Che effetto hanno questi pensieri su di me?
Una volta osservati gli effetti del nostro dialogo interiore, è necessario cercare di guidarlo secondo le nostre esigenze. I pensieri infatti non sono la realtà, ma soltanto il nostro modo di interpretarla. Utilizzarli a nostro favore, e non subirli passivamente, può fare la differenza.
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